Prolusione Anno Accademico

Università Cattolica del Sacro Cuore Milano

Una Globalizzazione aperta alla trascendenza – Governance Mondiale nel mondo contemporaneo

Silvano M. Tomasi, c.s.

Apostolic Nuncio

Permanent Observer of the Holy See to the United Nations Office of Geneva and other International Organization

 

1.- Introduzione

2.- Santa Sede e Relazioni Internazionali

3.- Attuale situazione socio-politica

4.- La mancanza di una visione e di un ideale come catalizzatore

5.- La strada futura:una nuova incarnazione dei valori cristiani

6.- Una Globalizzazione aperta alla trascendenza

7.- Il futuro dell’umanità

8. I limiti dell’autorità pubblica sovrana

9.- Un’Autorità politica mondiale

10.- Conclusioni

 

Sono grato a S. Em. il Card. Angelo Scola, al Magnifico Rettore Anelli e alle Autorità accademiche per avermi invitato in occasione di una Giornata cosi’ importante nella vita accademica di quest’ Istituzione Universitaria e per avermi consentito di contribuire con questa riflessione sulla Governance Globale nella realtà contemporanea alla Prolusione dell’Anno Accademico. In un tempo di crisi di cultura e di identità, l’Università Cattolica resta uno dei luoghi qualificati per tentare di trovare le strade opportune per uscire da questa situazione, grazie ad una tradizione di studio e di ricerca capace di orientare le nuove generazioni verso una proposta seria, impegnativa, capace di rispondere alle perenni sfide globali che ci troviamo ad affrontare.

 

1.Introduzione

Crisi umanitarie, pandemie, economia, commercio, minacce transnazionali, cambiamenti climatici, terrorismo, sicurezza nucleare e non proliferazione sono solo alcuni esempi dei problemi che le classi dirigenti del XXI secolo sono chiamate ad affrontare. Quelle che erano state considerate delle variabili nella politica internazionale del nuovo millennio si sono affermate come un nuovo scenario globale. Un crescente livello di ansia ha sostituito il senso di trionfo che esisteva in tutto l’Occidente nel 1990, quando Francis Fukuyama si interrogava nel suo celebre articolo la “fine della Storia” sul “senso per noi, alla fine del XX secolo, di parlare di una storia coerente e direzionale dell’umanità che finirà col portare la grande maggioranza della medesima alla democrazia liberale?”[1]. Come tutti ben conosciamo, grazie ai mass media e ai social media che ci proiettano al centro di questa nuova realtà globalizzata, i problemi variano a seconda del paese o dell’area regionale che analizziamo, ma ovunque è nitida la percezione di vivere nel bel mezzo di una transizione storica. Le istituzioni, le politiche e le Organizzazioni che sono state create dagli statisti che si sono confrontati con la desolazione del secondo conflitto mondiale sono state messe a dura prova nell’ultimo decennio e spesso si dimostrano inefficaci. Questo periodo di storica transizione è caratterizzato dalla “fluidità” di due elementi : la dimensione e la velocità, che cambiano e si evolvono in modo perpetuo andando oltre il controllo di qualsiasi leader, singoli paesi o istituzioni. I protagonisti di questo periodo sono sia gli attori classici (lo Stato) che attori non statali. Questa transizione si caratterizza per una connettività istantanea a livello globale ed è frequentemente marcata da atti di terrorismo e di violenza imprevedibile. A questo quadro classico e prevedibile, occorre aggiungere le continue scoperte scientifiche, la tecnologia e l’innovazione che hanno generato un flusso continuo di leader nei singoli settori della società e, occasionalmente, di alcuni leader che possono rivendicare una piattaforma globale.

La dimensione di tali sfide ha dimostrato ad oggi due verità: da un lato, l’impossibilità per i singoli Paesi di affrontare questa nuova realtà singolarmente e, dall’altro, la conseguente necessità di un rilancio dello strumento multilaterale che rende urgente la riforma delle istituzioni della governance globale (economiche, finanziarie, politiche e di sicurezza).

Le Nazioni Unite – che per la loro universalità incarnano il concetto stesso di multilateralismo – dovrebbero essere il foro di elezione per dare forma a questi processi di riforma. La realtà quotidiana, tuttavia, tende ad evidenziare l’ inclinazione a prediligere formati più ristretti e, solo apparentemente meglio gestibili. Basti pensare alla proliferazione degli accordi plurilaterali in materia commerciale, il Trans Pacific Partnership e il Partenariato Transatlantico su Commercio e Investimenti, e ili G8, il G20 e format simili che cercano di rimodellare il “governo” dell’economia mondiale, rischiando di fatto di aumentare le asimmetrie. In determinati settori, come lo sviluppo (nel quadro del negoziato sul Post-2015 e dei Sustainable Development Goals), gli interventi umanitari e le crisi regionali, l’universalità dell’azione delle Nazioni Unite conferisce un valore aggiunto che rende l’Istituzione un attore imperfetto, ma allo stesso tempo imprescindibile, dato che continua a dar voce agli ultimi e agli “esclusi” dai formati ristretti.

 

 

  1. Santa Sede e Relazioni Internazionali

Un riferimento essenziale che contraddistingue la lettura delle relazioni internazionali fatta dalla dottrina sociale della Chiesa: la costatazione che l’aspirazione all’unità della famiglia umana, anche se in forme diverse, non è stata mai così presente come ai nostri giorni nella vita dei popoli e nello svolgersi della vita internazionale[2]. Ciò è stato vero anche nel corso della storia che ha proposto differenti visioni di “unità”, molte delle quali spesso basate sull’arbitrio della forza o sulla volontà di superiorità o di potenza esercitata, o a volte anche solo minacciata, da qualcuno dei Membri della Comunità internazionale[3]. È l’insegnamento sociale a ricordare che il messaggio cristiano sin dal suo iniziale pervadere la struttura della società, interna ed internazionale, ha sostituito all’unità costruita dalla forza, un’unità più profonda basata sul rispetto della persona umana, della sua dignità e del suo valore trascendente che caratterizza anche la sua dimensione sociale come pure la sua appartenenza a diversi popoli. Il cristianesimo, con la sua dimensione universale, la cattolicità, si è posto e si pone come strumento aggregante, un “vincolo unitario” che non ha il compito di relativizzare o distruggere le differenti e le peculiari caratteristiche di ogni popolo, ma anzi di favorire l’esprimersi della realtà della differenza.

Con il delinearsi della moderna Comunità internazionale, la visione cristiana delle relazioni internazionali si sviluppa partendo dalla difesa dei diritti dei popoli e trovando considerazione sia in un approfondimento culturale generale sia più direttamente giuridico internazionale. In un celebre discorso all’Assemblea Generale ONU, San Giovanni Paolo II ricordava il dibattito sviluppatosi durante il Concilio di Costanza, nel XV secolo, ad opera dei rappresentanti dell’Accademia di Cracovia impegnati a sostenere il diritto all’esistenza ed all’autonomia di popolazioni europee in nome di una difesa delle singole identità rispetto all’affermarsi di un diritto alla sopraffazione da parte del più forte[4]. L’intervento di San Giovanni Paolo II mirava all’analisi delle conseguenze che i cambiamenti degli anni novanta avrebbero comportato per l’età contemporanea e futura dell’umanità. Cito quell’intervento perché in quel caso il Pontefice, in riferimento a principi dottrinali molto importanti, constata che una delle caratteristiche del nostro tempo è la ricerca della libertà. Questa ricerca si fonda sui diritti universali che appartengono all’uomo per il solo fatto di essere una persona umana. Il carattere mondiale di questa ricerca conferma che “vi siano realmente dei diritti umani universali, radicati nella natura della persona, nei quali si rispecchiano le esigenze obiettive e imprescindibili di una legge morale universale”. Quest’ultima funge da minimo comune denominatore, da linguaggio veicolare, una sorta di “grammatica che serve al mondo per affrontare questa discussione circa il suo stesso futuro”[5]. Per questo è causa di preoccupazione il fatto che qualcuno neghi l’universalità dei diritti umani o della natura umana. È vero che non esiste un’unica modalità, sia essa politica o economica, di organizzare la libertà umana, in quanto la diversità culturale genera una diversità nelle istituzioni, “ma una cosa è affermare un legittimo pluralismo di “forme di libertà” ed altra cosa è negare qualsiasi intellegibilità alla natura dell’uomo o all’esperienza umana”[6].

La famiglia umana per comporsi unitariamente è chiamata ad ispirarsi ad altrivalori che sono quelli di cui è portatrice la persona umana, nell’integrità delle sue componenti, materiali e spirituali, tenuto conto che la realtà dell’ordine internazionalesorge, si costituisce ed ha la sua ragion d’essere intorno al ruolo centrale della persona. Un’unità da cui non è estranea la forza , quella spirituale ed etica presente e viva in ogni persona e patrimonio di ogni popolo capace di trasfondere i valori morali nell’esperienza culturale e nelle vicende del vivere sociale, anche di quello internazionale.

 

  1. Attuale situazione socio-politica

Nelle pagine del Financial Times dello scorso mese di Ottobre, l’opinionista Eswar Prasad, in un articolo intitolato “A healthy Challenge to the old Guard of Global Finance” , ha chiaramente dimostrato la portata e la natura espansiva delle sfide che stiamo vivendo. L’autore argomentava che “Stanchi di promesse per dare loro voce in capitolo nella gestione del Fondo Monetario Internazionale rispettando la proporzionalità del loro peso economico, Brasile Russia, India e Cina, i cosiddetti paesi BRIC, hanno creato la propria banca di sviluppo pianificando di accumulare le loro riserve valutarie ed evitare di dover dipendere dal FMI, nel caso in cui si verificasse una crisi economica.”

Prasad spiega come il Fondo Monetario, la pietra angolare delle istituzioni di Bretton Woods, che è stato istituito dopo la seconda guerra mondiale per ripristinare la stabilità del sistema finanziario e promuovere la prosperità, abbia trovato nuova legittimità nel salvataggio della zona euro dopo la crisi finanziaria del 2008, ed ora la stia ritrovando grazie alle recenti azioni poste in essere dei BRIC.

Oltre a differenziare gli importanti ruoli di valutazione e di salvataggio che l’istituzione svolge nel sistema finanziario globale, l’autore suggerisce che in futuro il ruolo di salvataggio potrebbe essere più opportunamente gestito a livello regionale e da parte delle istituzioni regionali. In conclusione, l’autore  suggerisce che per raggiungere queste riforme che potrebbero rivelarsi molto costruttive, gli Stati Uniti e le altre economie avanzate dovrebbero smettere di lamentarsi dei piani per stabilire nuove istituzioni e “dovrebbero agire in modo rapido per riformare la governance delle istituzioni che attualmente dominano. Il FMI ha a lungo sostenuto i vantaggi di una maggiore concorrenza e una “disciplina” del mercato al posto dell’attuale status quo. Forse il FMI stesso, e il sistema di governance della finanza globale, funzionerebbero meglio se fossero in parte regolati da entrambe le cose”.

Nel caso dell’Unione Europea, un editoriale dal titolo “Cameron takes Britain closer to the exit door,” nel Financial Times, discute la minaccia da parte del Primo Ministro del Regno Unito per frenare l’immigrazione europea in Gran Bretagna. L’editoriale sottolinea che, molto tempo prima che il Regno Unito aderisse all’UE nel 1973, la comunità europea “si basava su quattro libertà fondamentali – quella del lavoro, del capitale, dei beni e dei servizi,” e che “la Gran Bretagna non può solamente scegliere quelle che desidera rispettare.”

Questa spinta per la rinegoziazione, 40 anni dopo che il Regno Unito è entrato nell’Unione, è un chiaro esempio delle sfide che il cambiamento delle realtà politiche ed economiche provoca sugli accordi che sono stati stabiliti dalle nazioni sovrane dell’Unione. Infatti, questi elementi dell’Unione erano relativamente meno controversi all’epoca e rimasero così per decenni. Furono proposti e adottati da un governo specifico alla luce di una serie di realtà politiche e obiettivi economici e, come in questo caso, sono ora minacciati da una piattaforma politica emergente che sta facendo presa su un elettorato a disagio. La realtà di enormi afflussi di migranti provenienti da Paesi più poveri che hanno recentemente aderito all’UE non era stata previsto all’epoca dell’accordo originale.

Un altro articolo del Financial Times, scritto da Gideon Rachman, estende il dibattito sull’UE all controllo delle frontiere e ai vincoli che gli obiettivi del budget UE pongono ai suoi membri (in questo caso la Francia). Egli suggerisce che l’Unione rischia il suo stesso futuro e il supporto di uno dei suoi più forti sostenitori se non verranno sistemate alcune  questione relative alle norme tra l’Unione e l’autorità sovrana dell’attuale governo francese. “I limiti europei in materia di sovranità nazionale ora rischiano di provocare una crisi nei rapporti dell’UE sia con la Gran Bretagna, sia con la Francia. L’UE è giustamente orgogliosa dell’idea che si tratta di una comunità di leggi che difendono i principi liberali di base. Ma il rifiutare di scendere a compromessi su quelle leggi e principi – relative ai confini e al budget e – ora minaccia di spingere l’Unione europea in una crisi politica che potrebbe addirittura minacciare la sua stessa esistenza a lungo andare”.

Questi sono solo alcuni esempi del tipo di sfide che i governi nazionali devono affrontare quando cercano di preservare e promuovere il tipo di alleanze che essi e i loro governi precedenti credevano essere nell’interesse della sicurezza e della prosperità dei loro cittadini e dei loro Paesi.

In aggiunta a queste situazioni all’interno del sistema stato-nazione, il sistema politico globale, cosi’ come le istituzioni che sono emerse per rafforzarlo e preservarlo, è sempre più indebolito dalla comparsa di attori non statali che non mostrano rispetto per i confini nazionali o che perseguono i loro obiettivi attraverso i tradizionali canali legali e diplomatici. Lo sfruttamento di confini poco definiti ha esposto molte regioni a livelli di insicurezza e di minaccia che erano difficili da immaginare anche solamente quindici anni fa. Questi attori sembrano venire al tavolo delle trattative in Occidente come fossero Brigate Rosse, l’IRA o l’ETA. Ll’emergere di nuovi gruppi più aperti e aggressivi in ​​Medio Oriente, Africa e Asia pone nuove minacce alla sicurezza regionale e nazionale .

I negoziati, il referendum e le urne, i metodi attraverso i quali noi occidentali siamo stati abituati a risolvere i conflitti, per esempio a Timor Est, nelle Filippine, in Irlanda del Nord e in Scozia, non è stato così efficace o accessibile in paesi come l’Ucraina, il Mali, il Sudan, l’Iraq, la Siria e l’Egitto. L’aspirazione sia all’indipendenza politica o a una devoluzione di potere e di autorità continua ad emergere, cosi’ come è avvenuto per tutto il periodo moderno. La scelta di come raggiungere tali alti obiettivi – se attraverso le urne e le trattative, la minaccia della violenza, o addirittura una vera e propria guerriglia armata, si rende più complicata e imprevedibile ogni giorno. Questa tendenza è anche alimentata dalla proliferazione dei mass media e social media, che consentono di accedere non solo alle idee, alle reclute, al denaro e alle strategie per qualunque opzione si scelga, ma anche agli strumenti e alle formule per la diffusione e la distribuzione di questi elementi nel mondo “virtuale” senza ostacoli da confini e barriere di sicurezza. Le versioni più estreme di queste ideologie hanno trovato terreno fertile in alcuni giovani alla ricerca di senso e di identità personale, intrappolati in condizioni di povertà e con pochi motivi per sperare in un futuro migliore.

In un momento in cui la Post-2015 Development Agenda delle Nazioni Unite sta prendedo forma, da questa Conferenza emergono chiaramente alcuni temi che si trovano al centro delle discussioni in ambito internazionale: immediate relief per i poveri, sviluppo sostenibile globale, e il bisogno di solidarietà.

Nel 2000, i governi firmarono la Dichiarazione del Millennio e impegnarono le loro nazioni per un nuovo partenariato globale per ridurre la povertà estrema.

La dichiarazione definiva inoltre una serie di obiettivi con scadenze precise. Da allora, il nostro mondo ha subito cambiamenti “sismici”. Papa Francesco parla di cambiamento epocale messo in moto dai progressi che si verificano nelle scienze e nella tecnologia[7].

Molti paesi hanno registrato tassi di crescita notevoli; progressi scientifici e tecnologici hanno veramente iniziato a trasformare la vita delle persone; una maggiore integrazione finanziaria globale e nuovi accordi commerciali e movimenti sociali, come la Primavera Araba, hanno causato un cambiamento politico imprevisto. Ma la disuguaglianza è peggiorata[8] sia all’interno di molti Paesi sviluppati, sia tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. In entrambe le situazioni, vi è un divario crescente tra le persone agli estremi della distribuzione del reddito. Continuiamo a spingere i nostri sistemi naturali sino ai loro limiti e al punto di fare danni irreparabili alla terra. Le nostre economie sono state destabilizzate a causa di una delle peggiori crisi finanziarie nell’arco di quasi un secolo.

Francois Bourguignon, direttore della Paris School of Economics, ha dimostrato che il livello di disuguaglianza nel mondo è di nuovo simile a quello di un secolo fa. Egli dice a proposito della disuguaglianza: “Queste tendenze preoccupanti sollevano interrogativi circa una crescita inclusiva e richiedono un riesame delle strutture economiche e dei modelli di crescita che contribuiscono a falsare la crescita a favore di alcuni segmenti della società o aree geografiche e perpetuare le disuguaglianze”[9].

L’economia mondiale sta appena cominciando a sfuggire alla stasi di crescita che l’ha caratterizzata durante gli ultimi cinque anni. La crescita dell’economia mondiale ha conosciuto un modesto miglioramento nel 2014, anche se le previsioni lasciano intendere che rimarrà significativamente al di sotto dei suoi valori pre-crisi. Vi è un crescente pericolo che questa tendenza sta diventando accettata come la “nuova normalità”, soprattutto per quanto riguarda la creazione di occupazione e la crescita dei salari. I politici in tutto il mondo, ma in particolare nelle economie di importanza sistemica e presso le istituzioni finanziarie internazionali, hanno bisogno di lavorare in modo collaborativo per valutare approcci e proposte innovative, prestare maggiore attenzione ai segni di intemperie economica e lavorare attraverso gli organismi regionali e collaborativi come il G20 e il Financial Stability Board.

Come già sottolineato da diversi studiosi, una sorta di cecità da parte delle istituzioni al centro del sistema finanziario globale rispetto ai rischi e ai pericoli che erano stati introdotti nel sistema finanziario attraverso  prodotti, servizi e operazioni bancarie poco trasparenti nel corso degli anni pre-crisi di ‘ruggente’ globalizzazione finanziaria, è stata pervasiva. Questa cecità riguardo ai crescenti rischi e ai principi etici e morali, ha permesso all’arroganza e l’avidità di proliferare. Meccanismi di regolazione, a causa della liberalizzazione ideologica dilagante e l’incapacità del settore pubblico di adattarsi a un sistema finanziario globalizzato sempre più complesso, si sono rivelati insufficienti, inefficaci e compromessi; non sono riusciti a prevedere o riconoscere l’estrema assunzione di rischi, pervasiva nel sistema finanziario e in tutta l’economia.

Il credito abbondante, disponibile, e relativamente a buon mercato ha permesso di indebolire la disciplina finanziaria e rimandare le regolazioni del mercato altrimenti necessarie per dei futuri “tempi migliori”. I mercati finanziari hanno ignorato le regole di adeguatezza patrimoniale, in nome di assunzione di rischi e la speranza di maggiori rendimenti futuri. Questo è stato amplificato dalla decisione cosciente da parte di molti attori finanziari di manipolare con interesse il confezionamento irrazionale del debito, che è stato troppo facilmente ratificato da un ansioso sistema di rating. Tutto questo spiega sia i successi a breve termine nella ricerca della ricchezza, sia la profondità della crisi che tutto ciò ha portato.

Ma i problemi vanno al di là di tutte le soluzioni tecniche che possono essere proposte per affrontare queste disfunzioni. Come Papa Francesco ha osservato, la crisi finanziaria “che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è una profonda crisi antropologica: la negazione del primato dell’essere umano! Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr Es 32,1-35) ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano.”[10]

Nel corso degli ultimi 15 anni, la condizione di molte persone che vivono in condizioni di povertà o vicino alla soglia di povertà si è deteriorata a causa di processi che hanno spostato i loro mezzi di sussistenza, compromettendo gravemente la loro capacità di condurre una vita decente. Questi processi comprendono il degrado ambientale, i conflitti violenti, il trasferimento forzato, rapide fluttuazioni dei prezzi delle materie prime e dei prodotti agricoli, lo spreco di risorse, e disastri naturali causati dal cambiamento climatico e le cicliche crisi politiche ed economiche. Una preoccupante tendenza alla perdita di benefici, come l’assicurazione e le pensioni, formalmente associati con l’occupazione nel mondo sviluppato ha ulteriormente amplificato l’incertezza e la precarietà che affliggono la classe media. Nel nostro mondo interconnesso a livello globale, le persone che vivono in povertà sono ben consapevoli, grazie alla loro esposizione ai mass media e ai social media, che il loro benessere è spesso determinato da decisioni dei dirigenti e responsabili politici su cui hanno poca o alcuna possibilità di influire.

Tale ideologia economica individualistica, “un’economia dell’esclusione e dell’iniquità” (EG, 53), è ancorata su un “credo” nell’egoismo naturale dell’uomo e nella capacità automatica di un mercato libero, senza nessun regolamento, di generare un’efficienza e una crescita aggregata maggiori. Questa ideologia descrive il futuro non in termini di incertezza, ma in termini di rischio in base alla probabilità. Le possibili conseguenze di ogni azione possono essere valutate in modello razionale, in base al quale ogni individuo cerca di massimizzare la propria utilità.

In realtà, come abbiamo imparato durante la crisi, il futuro nella vita reale è ignoto; è spesso caratterizzato da azioni basate su informazioni incomplete o deliberatamente false cosi’ come dalla speculazione irresponsabile, che spesso producono conseguenze impreviste e inattese. In questo contesto, l’integrità morale e la regolazione “illuminata” del mercato, così come il principio di precauzione, devono essere la bussola per la presa di decisioni che avranno un impatto sulla vita di milioni di persone, e soprattutto quelle che vivono in condizioni di povertà. Quando le conseguenze delle decisioni e delle azioni specifiche sono incerte, la ragione esige che i criteri morali e prudenziali debbano essere inclusi nel processo di regolamentazione[11].

Inoltre, la crisi finanziaria ha esposto la debolezza intrinseca in un quadro normativo in cui le singole nazioni sovrane o piccoli gruppi di nazioni potenti, come il G20, mirano a governare e regolare il sistema finanziario integrato a livello globale, senza la partecipazione di rappresentanti del Sud del mondo e dalle più economie vulnerabili. Un esame approfondito e una riforma del sistema, che tenga conto delle barriere strutturali e ideologiche che non riescono a prendere in considerazione le esigenze dei paesi e delle comunità in via di sviluppo, deve includere tutti gli stakeholder e adottare un’agenda inclusiva. Questa agenda deve, in particolare, contenere un’analisi del ruolo e dello scopo di importanti istituzioni finanziarie a livello sistemico globale e, se vuole raggiungere risultati positivi nel lungo periodo, deve essere portata avanti a livelli più alti di autorità[12]. I progressi raggiunti attraverso i Millenium Development Goals non hanno ancora sradicato le cause che incrementano il divario di disuguaglianza e producono troppi “avanzi” (EG, 53).

 

4.- La mancanza di una visione e di un ideale come catalizzatore

L’inadeguatezza e inefficacia del sistema politico e finanziario globale cui ci siamo affidati sono visibili su numerosi fronti. Le piattaforme di collaborazione e cooperazione che abbiamo costruito sono state testate ed esaminate su molti livelli e in molti fora. Mentre alcune delle istituzioni come le Nazioni Unite, la Banca mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e l’Organizzazione Mondiale del Commercio, emerse dal consenso di Bretton Woods hanno ben servito il sistema dello stato-nazione in numerose occasioni, le nuove realtà politiche ed economiche ne hanno mostrato a pieno i limiti.

In termini politici possiamo guardare alla fine del periodo coloniale e la nascita di numerosi nuovi Stati, il crollo della divisione tra Est ed Ovest, la dissoluzione dell’Unione Sovietica e l’emersione di paesi con vaste popolazione come Cina e India, e riconoscere che la disposizione e la lottizzazione del potere di voto, nonché le prerogative per la selezione della leadership di queste istituzioni globali, non rispondono più alla realtà globale esistente in maniera adeguata.

L’emergere di un sistema finanziario globale integrato lega regioni e paesi, mercati ed  economie in una rete in perenne attività che è fuori dal controllo delle nazioni sovrane o delle autorità regionali. La sfolgorante velocità e connettività di internet consente un accesso alle informazioni che mai avremmo potuto immaginare vent’anni fa. I progressi dell’istruzione e della ricerca in tutti i settori delle scienze hanno introdotto innovazione e nuove tecnologie nella nostra vita ad un ritmo incalzante.

L’assenza di una visione e di un ideale per guidare una famiglia umana che si ritrova globalmente interconnessa, in linea con il periodo di cambiamento e di transizione che stiamo vivendo, è fin troppo evidente. L’arrivo di una forma radicale dell’ideologia dell’individualismo che paralizza l’azione internazionale comune ha drenato le precedenti visioni della loro capacità di motivare. Mentre le richieste per la liberazione, l’uguaglianza e prosperità hanno guidato i movimenti rivoluzionari passati e continuano oggi a guidare coloro che aspirano ad una maggiore indipendenza regionale e locale, e ad una dislocazione del potere, queste richieste non sono di per sé facili da tradurre in istituzioni e strutture di governance che ospitano una popolazione in continua espansione e in competizione per le risorse limitate che la terra produce per garantire un futuro alle prossime generazioni.

 

5.- La strada futura: una nuova incarnazione dei valori cristiani

I recenti contributi alla Dottrina Sociale della Chiesa non sono rimasti silenziosi di fronte alle pressanti realtà sociali, politiche ed economiche di cui abbiamo discusso e hanno proposto linee guida specifiche per il futuro. Da Papa Giovanni XXIII nella sua Pacem in Terris, attraverso la Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo che emerse dal Concilio Vaticano II, all’attuale Santo Padre, la Chiesa ha costantemente deciso di portare le ricchezze e la sapienza della Tradizione e delle Scritture al tavolo delle trattative. Questo risulta particolarmente evidente quando guardiamo a come la globalizzazione viene considerata e valutata e alle avvertenze e raccomandazioni specifiche su come dovrebbe procedere.

Voglio guardare il vasto record di Papa Benedetto XVI su queste domande, e principalmente su come esse sono stati presentate nell’enciclica Caritas in Veritate. In quella Enciclica, Papa Benedetto XVI stabilisce sin dal principio ciò che egli considera una linea guida fondamentale per la realizzazione di stabilità, armonia, responsabilità e giustizia fra gli Stati nazione quando afferma; “La società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli. La ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità. Questa ha origine da una vocazione trascendente di Dio Padre, che ci ha amati per primo, insegnandoci per mezzo del Figlio che cosa sia la carità fraterna.”

In questo modo, egli articola chiaramente la dimensione trascendente della persona umana e il destino trascendente della famiglia umana e della Comunità come terreno necessario per qualsiasi quadro sociale e politico.
Quando parliamo di una nuova visione, questo non necessariamente implica una ricerca di modelli ma rivolgere lo sguardo ad esempi relativamente recenti o della Storia Contemporanea dove una visione cristiana ha inspirato un nuovo corso.

A questo proposito, voglio fare tre esempi di visione che hanno cambiato la storia contemporanea: la nascita della Croce Rossa, la creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio e la riunificazione della Germania.

La nascita della Croce Rossa è strettamente collegata alla figura di Henry Dunant e alla sua straordinaria vita . Le sue caratteristiche di follia e intraprendenza, insieme ad una  grande determinazione, sono state fondamentali per rendere la sua vita assolutamente fuori dall’ordinario. Dagli storici e studiosi, Dunant viene definito visionario, e se così non fosse stato, la sua utopia non si sarebbe trasformata in una realtà in continuo sviluppo. Max Huber, ex presidente del CICR (Comitato Internazionale Croce Rossa), era solito dire: “Il principio essenziale e decisivo della Croce Rossa è l’idea della responsabilità dell’essere umano per la sofferenza”[13].

A Dunant va riconosciuto il merito di aver visto lontano e di non aver mai vacillato nella sua convinzione di essere nel giusto. Il fondatore della Croce Rossa, fin dall’adolescenza è stato solito utilizzare il proprio tempo libero per portare soccorso e conforto ai poveri, agli ammalati e ai carcerati. Come è stato scritto, in alcune biografie, aveva cominciato a prendersi cura dei “feriti” del tempo di pace già parecchi anni prima di occuparsi dei feriti di guerra. Uscito dal collegio, dopo un tirocinio in banca, come si conviene a uno svizzero ginevrino e protestante, mosso dallo spirito del Risveglio nel 1849, entra a far parte di un gruppo di giovani animati da una fede intensa e appassionata: per Henry, il nucleo originario di un movimento internazionale ed ecumenico che viene fondato a Parigi nel 1855 in occasione dell’Esposizione Universale. Nasce così l’Alleanza Universale delle Unioni Cristiane, più nota sotto il nome di YMCA, e a tutt’oggi assai diffusa.

Il vero elemento di rottura per la vita di Dunant sarà il viaggio in Italia e precisamente in Lombardia, a Solferino e Castiglione nel 1859, dove assiste da testimone involontario ad una delle battaglie piu’ cruente nella Guerre d’Indipendenza italiane. Fu proprio questo evento, che oltre a scuoterlo profondamente, lo sprono’ con le donne lombarde e con Don Lorenzo Barziza, a portare soccorso, in modo del tutto imparziale, ai feriti tra i 40 mila uomini che giacevano sul campo dopo 24 ore di violenti scontri.

Partendo da questo contesto, vorrei richiamare un fatto storico emerso in seguito agli studi del compianto Prof. Giorgio Filibeck[14]. Il compianto professore segnalava che quando Dunant si trovo’ nel 1859 sui luoghi della sanguinosa battaglia di Solferino e, davanti all’atroce agonia di migliaia di feriti, maturò in lui la convinzione di organizzare un’ associazione capace di intervenire, con il riconoscimento dei Governi, in soccorso dei soldati feriti , sugli stessi luoghi erano presenti circa cento religiosi camilliani per prestare non solo i conforti religiosi ma anche un servizio sanitario volontario durante e dopo la battaglia, vestiti con il loro abito tradizionale, una tonaca nera su cui spicca una croce rossa.

 

La Germania dell’ovest, come noto, in seguito agli accordi di Washington e Petersberg del 1949, era diventata la Repubblica Federale Tedesca, a cui le potenze occupanti avrebbero trasferito i loro poteri, se fosse entrata nel blocco occidentale. Il federalismo era stato considerato la soluzione migliore per la ricostruzione delle strutture politiche, poiché era conforme alla storia tedesca e impediva il riproporsi di una Germania centralizzata e di un quarto reich. Si formò un sistema per lo più bipolare, basato su S.P.D. (socialdemocratici) e C.D.U. (cattolici democratici) con Adenauer.

Nel maggio del `49 Adenauer divenne capo del governo e dovette cercare il modo di conciliare le spinte esterne al riarmo con l’opposizione dell’opinione pubblica. Per convincere i tedeschi al nuovo armamento era necessario che la Germania non si riarmasse per riesumare un vecchio militarismo prussiano, ma per aiutare a costruire l’Europa che avevano distrutto. Doveva nascere un esercito europeo a cui la Germania avrebbe dato un contributo, riscattando le sue colpe. Ecco quindi le basi dell’europeismo tedesco, che, come ogni spinta verso l’integrazione europea, si fondava sulle esigenze nazionali.

La Francia rimaneva lo scoglio più grande all’integrazione della Germania in Europa, fin quando il primo ministro Adenauer non fece una proposta che rappresentò una svolta storica nella storia dell’Europa unita e dei rapporti franco tedeschi. In un’intervista per l’International News Service, Adenauer auspicava una completa unione tra Francia e Germania, con l’adozione di una cittadinanza comune e la fusione delle economie e delle risorse. La proposta era chiaramente simbolica e venne inizialmente vista con molta freddezza. In seguito però diede alla Francia la possibilità di porsi a capo di un’iniziativa diplomatica, smuovendosi dalla semplice posizione antitedesca sostenuta fino a quel momento. Il 9 maggio del 1950, il ministro degli esteri francesi, Shuman, illustrava alla stampa un piano di condivisione delle materie prime della Ruhr e della Saar, con organi sovranazionali a gestirle. Il così chiamato Piano Shuman portava l’integrazione europea dall’indirizzo unionista tanto voluto dalla Gran Bretagna, a quello funzionalista. Dopo circa un anno, nel maggio del `51, nasce la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), estesa all’Italia e ai paesi del Benelux: l’Europa dei sei.

Il 1° luglio 1990. Helmut Kohl andò in tv e promise ai tedeschi: «Con gli sforzi riusciremo a trasformare il Meclemburgo-Pomerania, la Sassonia-Anhalt, il Brandeburgo, la Sassonia e la Turingia di nuovo in paesaggi fioriti, in cui converrà vivere e lavorare». I cinque Länder dell’ Est e i suoi 16 milioni di abitanti si erano appena legati, in unione monetaria, a quelli dell’ Ovest. Di lì a tre mesi, il 3 ottobre 1990, la Germania si ritrovò, anche politicamente, riunificata. Dietro quei «paesaggi fioriti», Kohl mise tutta la sua autorità. E quanto questa decisione – politica, come lui stesso rivendicò – costò cara, ancora oggi si dibatte. Fu Kohl che sfidò la Bundesbank e impose, tra il potentissimo marco e la moneta dell’ Est che veniva scambiata al mercato nero 10 a 1, la parità. «Eine Mark ist eine Mark». E se la frase (pare) non la pronunciò mai, le conseguenze furono colossali. Non possiamo, disse Kohl, condannare i cittadini dell’ Est alla povertà e all’ umiliazione. Il resto arrivò a catena: le fabbriche dell’ Est (la regola del 1 a 1 valeva per gli stipendi e le pensioni, per i depositi il cambio era di 2 a 1) finirono fuori mercato, e fallirono. Ci furono persino degli effetti comici: nel 1989, l’ International Statistical Yearbook indicava per la Germania dell’ Est un reddito superiore (10.400) a quello dell’ Ovest (10.050 dollari). Al boom iniziale (crescita del +5,7 nel 1990 e +5,1% nel 1991) seguirono anni di stagnazione. Il debito nazionale passò dal 43% dell’ 89 al 53% del ‘ 94. I costi esplosero, la riunificazione è costata ai tedeschi 1.400 miliardi. Ma la scelta di Kohl, quel cambio 1 a 1, non fu mai rinnegata, e ancora adesso viene vista come la lezione ultima del cancelliere: la politica, e alcuni ideali che può perseguire (la ricomposizione dell’ identità tedesca lo fu), vengono prima dell’ economia.

Come sappiamo a pagarne le conseguenze non fu soltanto la Germania, ma anche le maggiori economie del tempo, tra cui Francia ed Italia. Questa versione che la riunificazione tedesca la pagarono gli altri si è diffusa soprattutto in Francia. È vero, uno shock finanziario ci fu. Ma è una lettura eccessiva. Ingenerosa verso la Germania che si accollò gran parte dei costi della riunificazione. Bisogna inoltre ricordare come Kohl di fronte alle insistenze di Mitterrand sacrificò il marco, spianando la strada all’euro, per ridare ai tedeschi una sola patria.

Nei dibattiti internazionali, ed in particolare sui temi economici la Dottrina sociale della Chiesa e la sua visione è tacciata di essere “too pie in the sky”, ma come dimostrano questi tre brevi esempi, dalla sua visione ispirata alla solidarietà e alla sussidiarietà sono nate, in contesti particolarmente complessi come si presenta quello attuale, dei progetti che hanno profondamente segnato la storia contemporanea.

 

6.- Una Globalizzazione aperta alla trascendenza

San Giovanni Paolo II, in un suo discorso del 2001 alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, affermava che “la globalizzazione, a priori, non è né buona né cattiva. Sarà, ciò che le persone ne faranno.”

Pur riconoscendo che talvolta nei riguardi della globalizzazione si notano atteggiamenti di sospetto  e addirittura fatalistici e deterministici da parte di alcuni, l’enciclica Caritas in Veritate sottolinea che non è solo “un processo socio-economico”, ma è anche una dimostrazione “di un’umanità che diviene sempre più interconnessa; essa è costituita da persone e da popoli a cui quel processo deve essere di utilità e di sviluppo, grazie all’assunzione da parte tanto dei singoli quanto della collettività delle rispettive responsabilità.”

La scomparsa dei confini che è il risultato del processo di globalizzazione è un “evento culturale nelle sue cause ed effetti” e “come realtà umana, è il prodotto di vari orientamenti culturali che devono essere sottoposti ad un processo di discernimento.” È necessario quindi “impegnarsi incessantemente per favorire un orientamento culturale personalista e comunitario, aperto alla trascendenza, del processo di integrazione planetaria.”

Non dobbiamo essere vittime della globalizzazione, ma protagonisti, procedendo con ragionevolezza, guidati dalla carità e dalla verità. Gli aspetti positivi di questo processo meritano di essere riconosciuti e valutati “per trarre vantaggio dalle sue molte opportunità di sviluppo.” Il Papa Emerito Benedetto, tuttavia, ci avverte che “bisogna correggerne le disfunzioni, anche gravi, che introducono nuove divisioni tra i popoli e dentro i popoli, e fare in modo che la ridistribuzione della ricchezza non avvenga con una ridistribuzione della povertà o addirittura con una sua accentuazione, come una cattiva gestione della situazione attuale potrebbe farci temere.”

Egli offre un’analisi equilibrata per la crescita economica, articolando in modo esplicito la necessità di una riforma del sistema finanziario. Basandosi sulle intuizioni di Papa Paolo VInella Populorum Progresso, riconosce i benefici che sono stati realizzati attraverso la crescita economica, ma anche riconoscendo come essa non sia riuscita a realizzare un progresso continuo.

Papa Benedetto afferma che “lo sviluppo economico che auspicava Paolo VI doveva essere tale da produrre una crescita reale, estensibile a tutti e concretamente sostenibile. È vero che lo sviluppo c’è stato e continua ad essere un fattore positivo che ha tolto dalla miseria miliardi di persone e, ultimamente, ha dato a molti Paesi la possibilità di diventare attori efficaci della politica internazionale. Va tuttavia riconosciuto che lo stesso sviluppo economico è stato e continua ad essere gravato da distorsioni e drammatici problemi, messi ancora più in risalto dall’attuale situazione di crisi.”, come lo è stata la crisi del 2008.

E ancora afferma: “La transizione insita nel processo di globalizzazione presenta grandi difficoltà e pericoli, che potranno essere superati solo se si saprà prendere coscienza di quell’anima antropologica ed etica, che dal profondo sospinge la globalizzazione stessa verso traguardi di umanizzazione solidale.” Questo radicamento della globalizzazione in “traguardi di umanizzazione solidale” deve essere anche essere al centro del processo se vogliamo negoziare con successo la transizione da un sistema politico globale radicato nel contesto del dopoguerra al termine della seconda guerra mondiale ad un contesto globale e una realtà altamente differenti.

Papa Francesco riprende queste preoccupazioni nella sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium quando ricorda al mondo che troppe persone povere sono state escluse e dimenticate da una “globalizzazione dell’indifferenza.” “Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete.” Nel processo di globalizzazione, il Papa sostiene l’importanza di mantenere una sana tensione tra il locale e il globale; uno aiuta a “evitare la ristrettezza e la banalità” e l’altro a “mantenere i piedi per terra.”

 

7.- Il futuro dell’umanità

Concentrando le sue preoccupazioni entro l’orizzonte del destino umano, il Santo Padre riconosce la necessità di affrontare le sfide che gli effetti dannosi di un sistema finanziario mal gestito e in gran parte  afflitto da speculazioni, “gli imponenti flussi migratori” e “lo sfruttamento sregolato delle risorse della terra” presentano ai governi e alle istituzioni globali di oggi, non solo mentre cercano di rispondere alle sfide attuali, ma anche per il bene futuro dell’umanità. Afferma inoltre che queste sfide e le loro soluzione sono interconnesse e “richiedono nuovi sforzi di comprensione unitaria e una nuova sintesi umanistica.”

Con specifico riferimento alla mancanza di un quadro globale coerente e stabile che è necessario per monitorare e ordinare il sistema finanziario globale, enciclica (nota: quale?) chiama a un profondo cambiamento di prospettiva, atteggiamento, visione e valori, quando afferma che “dobbiamo assumere con realismo, fiducia e speranza le nuove responsabilità a cui ci chiama lo scenario di un mondo che ha bisogno di un profondo rinnovamento culturale e della riscoperta di valori di fondo su cui costruire un futuro migliore. La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente.

 

  1. I limiti dell’autorità pubblica sovrana

Riconoscendo le origini del potere dello Stato e il suo fondamento nel diritto costituzionale e affermando la sua autorità di controllare e regolare l’attività economica, l’enciclica riconosce che in passato “attività economica e funzione politica si svolgevano in gran parte dentro lo stesso ambito spaziale e potevano quindi fare reciproco affidamento. L’attività produttiva avveniva prevalentemente all’interno dei confini nazionali e gli investimenti finanziari avevano una circolazione piuttosto limitata all’estero, sicché la politica di molti Stati poteva ancora fissare le priorità dell’economia e, in qualche modo, governarne l’andamento con gli strumenti di cui ancora disponeva. Per questo motivo la Populorum progressio assegnava un compito centrale, anche se non esclusivo, ai « poteri pubblici »”

É necessario tuttavia affermare che la situazione nel 21° secolo è notevolmente diversa quando “lo Stato si trova nella situazione di dover far fronte alle limitazioni che alla sua sovranità frappone il nuovo contesto economico-commerciale e finanziario internazionale, contraddistinto anche da una crescente mobilità dei capitali finanziari e dei mezzi di produzione materiali ed immateriali.” Questa realtà ha un impatto che va al di là di questioni economiche e finanziarie; l’enciclica sostiene che “questo nuovo contesto ha modificato il potere politico degli Stati”; ha un significato plurivalente, che non può essere dimenticato, mentre si procede alla realizzazione di un nuovo ordine economico-produttivo, socialmente responsabile e a misura d’uomo.

Oltre alla promozione di attività commerciali a livello globale, “si deve promuovere un’autorità politica distribuita e attivantesi su più piani. L’economia integrata dei giorni nostri non elimina il ruolo degli Stati, piuttosto ne impegna i Governi ad una più forte collaborazione reciproca.

Non è necessario che lo Stato – afferma l’enciclica, “abbia dappertutto le medesime caratteristiche: il sostegno ai sistemi costituzionali deboli affinché si rafforzino può benissimo accompagnarsi con lo sviluppo di altri soggetti politici, di natura culturale, sociale, territoriale o religiosa, accanto allo Stato.” L’ulteriore definizione dell’autorità politica a livello locale, nazionale e internazionale è anche il modo per evitare che essa mini di fatto i fondamenti della democrazia.

Così l’enciclica sostiene che nell’esperienza dello stato di dover affrontare direttamente gli errori e disfunzioni che hanno portato alla crisi finanziaria, è altresì opportuna una rinnovata valutazione del loro ruolo e del loro potere, che vanno saggiamente riconsiderati e rivalutati in modo che siano in grado, anche attraverso nuove modalità di esercizio, di far fronte alle sfide del mondo odierno. Questa rivalutazione dovrebbe sollecitare una nuova definizione del ruolo delle autorità pubbliche in generale, sia a livello nazionale che internazionale, e un processo che sviluppi una maggiore partecipazione dei cittadini alla res publica.

 Sussidiarietà

Riconoscendo e cercando di elaborare l’importante principio di sussidiarietà, Caritas in Veritate ricorda che tale principio è “un’espressione dell’inalienabile libertà umana [..] perché favorisce la libertà e la partecipazione in quanto assunzione di responsabilità. La sussidiarietà rispetta la dignità della persona, nella quale vede un soggetto sempre capace di dare qualcosa agli altri. Riconoscendo nella reciprocità l’intima costituzione dell’essere umano, la sussidiarietà è l’antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista. Essa può dar conto sia della molteplice articolazione dei piani e quindi della pluralità dei soggetti, sia di un loro coordinamento.

Si tratta quindi di un principio particolarmente adatto a governare la globalizzazione e a orientarla verso un vero sviluppo umano. Per non dar vita a un pericoloso potere universale di tipo monocratico, il governo della globalizzazione deve essere di tipo sussidiario, articolato su più livelli e su piani diversi, che collaborino reciprocamente. La globalizzazione ha certo bisogno di autorità, in quanto pone il problema di un bene comune globale da perseguire; tale autorità, però, dovrà essere organizzata in modo sussidiario e poliarchico, sia per non ledere la libertà sia per risultare concretamente efficace.

9.- Un’Autorità politica mondiale

La necessità di un “ordinamento politico, giuridico ed economico che incrementi ed orienti la collaborazione internazionale verso lo sviluppo solidale di tutti i popoli” viene affrontata in Caritas in Veritate. Questo nuovo ordinamento prevede una urgenza della riforma sia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sia dell’architettura economica e finanziaria internazionale, affinché si possa dare reale concretezza al concetto di famiglia di Nazioni.

Questa riforma dovrebbe fornire metodi innovativi per implementare la “responsibility to protect” e dare alle “nazioni più povere una efficace voce in capitolo in processo decisionale condiviso”.

Esso non rifugge dall’affrontare le questioni sollevate e la sfida di “una vera Autorità politica mondiale” e ricorda che questo problema fu sollevato già da San Giovanni XXIII. Una simile Autorità, afferma l’enciclica, “dovrà essere regolata dal diritto, attenersi in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, essere ordinata alla realizzazione del bene comune, impegnarsi nella realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità nella verità.” In mancanza di ciò, infatti, “il diritto internazionale, nonostante i grandi progressi compiuti nei vari campi, rischierebbe di essere condizionato dagli equilibri di potere tra i più forti” e ostacolerebbe il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo adottati a livello internazionale, che preservano “quel raccordo tra sfera morale e sociale, tra politica e sfera economica e civile che è già prospettato nello Statuto delle Nazioni Unite.”

 

10.- Conclusioni

Nell’affrontare le sfide che questo tempo di transizione pone per la famiglia di Stati-nazione e la famiglia umana, è importante procedere attraverso un processo trasparente, olistico e inclusivo. Abbiamo rapido accesso ad una quantità di informazioni e dati come mai le generazioni precedenti e allo stesso modo siamo i beneficiari di molti dei ritrovati e  delle innovazioni della tecnologia e della scienza. Siamo anche arricchiti dalla consapevolezza e più profondo apprezzamento della grande diversità e ricchezza che caratterizza tutta la famiglia umana e la natura.

Ora, ciò che rimane essenziale per noi è affrontare le più che necessarie riforme del sistema politico globale, affinché  possa fornire un quadro più robusto per rispondere in maniera abile ed efficace alle nuove esigenze del XXI secolo e alle complesse sfide e problemi che continuano a presentarsi.

I principi e gli elementi propri della Dottrina Sociale della Chiesa che abbiamo delineato possono e devono essere una fonte di guida e di saggezza in questa grande impresa; la Chiesa sarà sempre pronta a partecipare attivamente alla discussione e allo sviluppo delle piattaforme, strutture e istituzioni che saranno necessarie ad assicurare un soddisfacente completamento del processo.

 

 

[1] F.Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, BUR, Milano, 2003, p.11

[2] Pacem in terris, 54.

[3] Pio XII, Allocuzione Ci riesce di grande soddisfazione, 6 dicembre 1953.

[4] Cf. Discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50.mo di fondazione, 5 ottobre 1995.n

[5] Idem

[6] Id.

[7] Pope Francis, Evangelium Gaudium, 52.

[8]  Bourguignon, 2013. The Globalisation of Inequality. Lecture at the European University Institute, Max Weber Programme www.cadmus.eui.eu/bitstream/handle/1814/26496/MWPLS2013_02.pdf?sequence=1

 

[9] Cf. Pope Francis, Apostolic Exhortation Evangelii Gaudium: The Joy of the Gospel. (Washington: United States Catholic Conference, 2013) No. 59, 60. Thomas Piketty; Capital in the Twenty-First Century (Cambridge, MA: Belknap Press, 2014)

 

[10] Pope Francis,Evangelii Gaudium No. 55

 

[11] Pope benedict XVI No. 37

[12] Cf. Benedict XVI, Encyclical Letter, Caritas in Veritate: Charity in Truth (Washington: United States Catholic Conference, 2009) no. 67

[13] Cit. dal discorso del Dott.Cornelio Somaruga presso l’Università Bocconi di Milano sul CICR:attore umanitario e guardiano del Diritto Internazionale Umanitario pag.3

[14] Già Officiale del Consiglio della Giustizia e della Pace.